Intervista a Paolo Treni, artista dei mille riflessi

    Intervista a Paolo Treni, artista dei mille riflessi 

    Scelto da HUB/ART come uno dei vincitori della categoria “Pittura”, Paolo si muove al confine tra arte e design creando opere fatte di sogni e di luce che regalano speranza.

    Paolo Treni è un artista visuale nato nel 1981 sul Lago di Garda, che vive e lavora tra Brescia e Milano. Si è laureato in Comunicazione all’Università Cattolica di Milano e si è diplomato alla scuola del Teatro Arsenale.

    Nella sua arte si ritrovano stimoli provenienti dagli ambiti più svariati che contribuiscono alla realizzazione di lavori a volte introspettivi, altre volte stravaganti.

    L’artista gioca con la luce e con i riflessi per la creazione di effetti di profondità e di colori che si trasformano continuamente in base alla posizione dello spettatore e al momento in cui vengono osservati.

    In mostra un’intera sala dedicata all’artista che chiude questo percorso con un messaggio di positività e di fiducia nel domani.

    Abisso, 2021, laser, smalti e vernici su plexiglas 22,6 x 22,6 cm

    Sei stato scelto da HUB/ART Gallery, partner di Art Rights Prize, come uno dei quattro vincitori della categoria “pittura”. Quali possibilità ti ha aperto questo riconoscimento? E cosa ti aspetti per il futuro?

    Vedendo di persona le mie creazioni in plexiglas si scopre che vivono grazie alla riflessione e alla rifrazione della luce, operando una sintesi fra pittura e scultura. Dopo Berlino, questo riconoscimento mi ha dato la possibilità di mostrarle finalmente in un “white cube” a Milano, città dove ho studiato e vissuto per tanti anni, ma dove non le avevo ancora esposte.

    Se con la mostra virtuale in 3D le mie opere sono state notate, è certamente grazie all’esposizione fisica che ho avuto l’opportunità di rivelare e valorizzare appieno la loro natura.

    La novità di questa mostra? Poter scegliere l’illuminazione della sala dedicata alle mie opere e giocare con le luci calde e fredde, osservando come cambia la percezione dei cinque lavori presenti. Credo che questo riconoscimento rappresenti un’ottima interazione fra mondo digitale e mondo fisico, il che mi fa ben sperare in un futuro phygital per le mie nuove creazioni.

    Ex Glacie Exurgo, 2016, laser, smalti e vernici su plexiglas, 127 x 99 cm.

    Remember Tomorrow è una mostra che vuole far riflettere sul disagio della società contemporanea in seguito alla pandemia, pur lasciando uno spiraglio di luce. Le tue opere portano infatti un messaggio di speranza, sono un tripudio di gioia e di colore. Che cosa rappresenta per te la luce?

    Mi fa piacere che anche opere apparentemente cupe come Ex Glacie Exurgo, svelino una profonda voglia di rinascita: molti, infatti, la interpretano come una fenice che risorge dai ghiacci. Penso che lo stimolo del colore evochi sensazioni che non fanno necessariamente parte del presente, ma affondano le radici nel bagaglio delle nostre esperienze passate: in particolare nelle immagini astratte, dove ciò che ci colpisce o ci piace non è quello che vediamo, ma ciò che sentiamo rievocare nella nostra memoria emotiva.

    La luce, influenzando la percezione della brillantezza dei colori, ha il potere di trasformare l’atmosfera e diventa elemento chiave nell’attivare determinati ricordi nella mente di chi guarda. A proposito di luce e speranza, le sfumature di Cosmic Green Drop mi riportano a quel momento iniziale del lockdown in cui Madre Natura, incurante del virus, sembrava essersi ripresa i suoi spazi: le acque di Venezia tornavano verde smeraldo così come i delfini rientravano nel porto di La Spezia. Quella speranza di un mondo più verde, dalle acque dei mari al clima in generale, è ciò che ho cercato di cristallizzare attraverso l’opera.

    I tuoi lavori sono la perfetta commistione tra tecnologia ed artigianalità, lavorano sull’ambiguità percettiva, quando li ritieni conclusi?

    In realtà non “chiudo” mai l’opera, so che ho finito di dipingere quando percepisco che è aperta (per dirla alla maniera di Umberto Eco) a libere interpretazioni. Lavorare sull’ambiguità percettiva significa che quando inizio a dipingere non so mai quale sarà il risultato finale. Rielaborando in ambiente virtuale l’arte del Suminagashi (una tecnica orientale con la quale si lasciano cadere gocce di colore ad olio in un sottile strato d’acqua), lascio fluire le macchie di colore in base al mio flusso di coscienza, assecondando l’espansione naturale dei fluidi o intervenendo sul movimento con strumenti come spatole e pennelli, finché percepisco che l’opera si presta a molteplici letture da parte dello spettatore, che la arricchirà con la sua personale visione.

    Cosmic Green Drop, 2020, laser, smalti e vernici su plexiglas, 92 x 92 cm

    Nei lavori esposti in mostra si ritrovano forze centrifughe (ad esempio nella nuvola Zephyrus Meridiei) e forze centripete (come nel frammento di Goccia d’Abisso). Cosa vuoi trasmettere allo spettatore?

    Come accade nel Teatro di Jacques Lecoq, per me è importante creare un’esperienza di visione coinvolgente, in cui la fantasia dello spettatore assuma un ruolo attivo. Nel caso della nuvola Zephyrus Meridiei la forma è il risultato di un equilibrio dinamico fra le forze che immagino muoversi al di fuori dalla sagoma e quelle che tentano di liberarsi al suo interno; questo fa sì che spostandosi sull’asse orizzontale e cambiando il punto di vista, emerga una tridimensionalità quasi scultorea. Il frammento di Goccia d’Abisso, invece, gioca sulla profondità e sembra aprire un varco dimensionale nella parete, dandoci la sensazione di essere risucchiati, non solo con lo sguardo. Attraverso queste dinamiche di attrazione o repulsione insite in ogni opera, l’osservatore è naturalmente stimolato a muoversi lungo le pareti, ad avvicinarsi o ad allontanarsi, alla ricerca del punto nevralgico in cui i colori si accendono e la composizione si anima. Lo spettatore entra quindi in rapporto con l’opera: la trasformazione della luce stimola la sua immaginazione, attivando un dialogo maieutico destinato ad evolversi e durare nel tempo.

    Quanto pensi siano importanti i social per la promozione della tua arte? In che modo li hai usati durante la pandemia?

    Per carattere non mi definirei un grande amante dei social, ma durante la pandemia, non potendo recarmi in laboratorio a causa del lockdown, ho utilizzato soprattutto Instagram. Devo ammettere che per me si è rivelato efficace nel promuovere e far vedere le performance delle mie opere ambientate sulla neve ad un nuovo pubblico, attirando anche l’attenzione di collezionisti italiani. In questo senso l’incontro con la giovane influencer Ginevra Mavilla e la pubblicazione di Pulsar inserita nella sua nuova casa si è rivelato un bel booster, che mi ha consentito di avviare collaborazioni con il mondo dell’interior design tailor-made, come nel caso della recente installazione site-specific realizzata in piazza San Simpliciano, per lo show-room Tai Ping.

    Intervista a cura di Diana D’Ambra

    Cover: Zephyrus Meridiei e Dissolved Motherhood di Paolo Treni

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