Moda e Musica oramai da anni sono accoppiata vincente.
I grandi brand del fashion system si trovano a proprio agio con rockstar, popstar e gruppi che ammaliano le folle di fan a suon di ritornelli ed arpeggi, ma cosa succede quando l’arte si mette nel mezzo, creando un vero e proprio “mènage à trois”?
Succede che la commistione crea un mix iconico, forte e sincero, colpisce dritto al cuore il pubblico, la stampa ed ovviamente i fashion victim ed appassionati d’arte.
Si è appena concluso il 70° Festival di Sanremo: sulla carta ha vinto Diodato, eppure se tutti noi ci soffermassimo due secondi in più, il primo ricordo che avremmo sarebbero le performance sul palco, non solo canore, di quell’estroverso cantante che si è ispirato all’arte in tutte le sue espressioni.
È stato San Francesco nella celebre scena dell’affresco attribuito a Giotto presente nella Basilica di Assisi, dove il Santo si sveste rinunciando ai beni terreni, interpretato con una tutina semi trasparente ricca di decori dorati, pietre preziose.
O ancora si è immedesimato nella Divina Marchesa Luisa Casati Stampa, mecenate dell’arte e musa ispiratrice di grandi artisti come Man Ray e infine si presenta con le vesti rivisitate di “Elisabetta I Tudor, vergine sposa della patria, del popolo, dell’arte e difensore della libertà”.
Inutile dirlo, lui è Achille Lauro, che supportato da Alessandro Michele, direttore creativo della rinomata maison di moda Gucci, ha dato vita a quella che sono state chiamate “performance d’arte” sul palco sanremese, con l’obiettivo di rompere gli schemi e attrarre l’attenzione del pubblico nazionalpopolare oltre la sua stessa musica.
Al di là delle sue qualità canore, ciò che sembra emergere è che ancora una volta la moda e la musica abbiano utilizzato le leve dell’arte per comunicare valori come bellezza, opulenza, trasgressione, lusso e irriverenza.
Dal punto di vista commerciale, Gucci, De Michele e Lauro, hanno ricevuto in proporzione più visibilità e copertura stampa che il vincitore stesso del festival o ancora dei main sponsor che hanno speso cifre da capogiro per far parte della kermesse, che si ricorda vale per l’emittente circa 37 milioni di euro, in cui i soli spot televisivi avevano dei costi da un minimo di 25mila euro a un massimo di 414 mila per la fascia oraria di punta, senza contare il relativo indotto ad esso legato.
In tempi non sospetti, sia nel mio ultimo libro “ProfessioneARTE” edito da Mondadori Electa, che in diversi video pubblicati sui miei canali, avevo dedicato particolare attenzione al sempre più frequente legame tra Arte e Moda, dove i grandi marchi del settore, come Gucci, Louis Vuitton, Moncler e Diesel decidono di associare ed elevare il proprio brand commerciale ai valori dell’arte e della cultura.
Utilizzando leve di comunicazione come la bellezza, l’arte, la cultura ed ora anche la musica viene meno l’aspetto commerciale e di vendita, focalizzando l’attenzione del consumatore/spettatore verso valori indiscutibili e positivi a lui noti e creando un forte e indiretto legame, oltre la mera vendita.
Volendo trovare un simile approccio nel mondo dell’arte, si potrebbe pensare al celebre “Metodo Castelli” dell’omonimo gallerista Leo, il quale ha trasformato il momento della vendita delle opere d’arte in un rapporto confidenziale ed esclusivo con il suo collezionista, coinvolgendolo nella vita dell’artista, nei suoi valori, nel suo percorso e trasformando lo scambio quale naturale conseguenza di questo “viaggio” nell’arte condiviso, così oggi la moda decide di comunicare e vendere i propri valori ancor prima che i suoi capi.
Avviene così che anche nel gennaio 2020, VOGUE Italia con il suo direttore Emanuele Farneti, decida di dedicare un numero speciale da collezione, con sette cover e interni, creati appositamente da artisti del calibro di Vanessa Beecroft, David Salle o Milo Manara, dove addirittura si mette in discussione il medium di comunicazione per eccellenza della moda, la fotografia, ponendo così la creatività al servizio della sostenibilità e chiedendo agli artisti di disegnare gli abiti reali degli stilisti su modelli da loro completamente idealizzati e secondo propria visione e ricerca artistica.
Negli anni non sono mancati grandi artisti come Marina Abramovich, Maurizio Cattelan, Daniel Arsham, Alec Monopoly, Jeff Koons, Virgil Abloh, Murakami che hanno scelto di collaborare e mettere la loro arte a supporto della moda, creando addirittura collezioni o ricoprendo prestigiosi ruoli come quello di direttore artistico e creativo delle principali maison del lusso.
Un’accezione di cultura allargata tra arte, musica e moda che pone nuovi scenari, opportunità e forse dubbi deontologici su quali siano i limiti culturali, promozionali e strategici della comunicazione pubblicitaria.
GUARDA UNO DEI VIDEO DI ANDREA CONCAS SUL TEMA ARTE & MODA