L’AUTENTICITA’ DELL’ARTE DIGITALE
A cura di Roberto Concas
Come conservare, collezionare, esporre e restaurare un’Opera d’Arte Digitale?
È possibile che la domanda possa creare reazioni diverse tra, l’interesse diretto, la semplice curiosità, i parallelismi, le possibili soluzioni.
Proprio sull’autenticità dell’Arte Digitale, un articolo di Michele Foti, pubblicato sulla Rivista Digitale dell’Università di Bologna, apre un dibattito dai confini “sterminati”.
L’analisi si inoltra su aspetti tecnici informatici e su altri distinguo riguardanti l’originalità dell’opera d’arte digitale, la sua conservazione nel tempo, la fruizione e infine il restauro, o meglio la “teoria del restauro”.
Sull’Arte Digitale, in termini teorici, si discute oggi sull’autenticità delle opere comprendendo l’intero processo che dall’azione dell’artista e dal contesto sociale in cui ha operato, passa per la tecnologia impiegata, sia hardware che software, e all’impiego personalizzato da parte dell’artista, sino ad arrivare “all’autenticità dei bit”.
MUSEI E ARTE DIGITALE
In termini figurati, e secondo queste nuove teorie, per ogni Opera d’Arte Digitale si dovrebbe conservare tutto l’insieme, e per questo si può affermare che per ogni dipinto sarebbe opportuno conservare anche i pennelli, i colori, i solventi, il cavalletto e l’atelier dove è stata creata l’opera e persino custodire gli odori pregnanti dell’olio di lino, dell’acqua ragia o della trielina.
Oltre l’estremizzazione, resta invece necessario seguire la linearità del ragionamento perché Istituzioni di ricerca e musei, da tempo, lavorano a questi aspetti della conservazione dell’originale come il Guggenheim Museum.
UMANISTICA DIGITALE
L’Arte Digitale è entrata tra le materie di studio della cosiddetta UMANISTICA DIGITALE promossa ormai con veri percorsi formativi in molte Università.
L’impegno di questo nuovo “pensare” nelle Digital Humanities (DH), potrebbe riassumersi nella volontà di unire tra loro le radici umanistiche e quelle informatiche, in una visione attualizzata delle nostre società multietniche, multi tecnologiche e multitasking.
LE NUOVE MATERIE
Per lo studio dell’Arte Digitale si affacciano anche nuove materie come la “retro-engineering” e “retro-computing” per occuparsi dell’originalità dell’hardware dei software e dei linguaggi macchina, configurando la nuova disciplina di “Media Archeology”.
Inoltre, gli stessi artisti della Digital Art rivendicano, con fermezza, il rispetto dell’autenticità della propria opera, non ritenendo opportuno neppure l’aggiornamento di una scheda grafica di elaborazione ed output. Per questo potremo essere “costretti” a mantenere in funzione costante il nostro Commodore 64, per poter continuare ad apprezzare l’espressione Artistica dell’incantevole e insuperabile Tetris.
Dello stesso sistema dobbiamo conservare, musealizzare e fruire, il lettore e il nastro con il suo suono “interstellare” del software trasmesso anche via radio dalla Rai nel 1984 (Radiotex).
LA TEORIA DEL RESTAURO PER L’ARTE DIGITALE
Per studiare l’Arte Digitale migrano materie come la “Teoria del Restauro”, un tema che riporta a memoria la discussione avviata a metà del Novecento da Cesare Brandi. (C. Brandi, Teoria del Restauro, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1963.)
Un dibattito teorico che è passato dalle ortodosse “visioni archeologiche” per le quali di un’opera d’arte antica dovrebbero salvarsi solo le parti riconosciute come originali, all’imperativo di Bernand Berenson che predicava il “dov’era e com’era” (Come ricostruire la Firenze demolita, 1945 il Ponte 1, pp. 33-38), al “pragmatismo visionario” di Ranuccio Bianchi Bandinelli, (Come non ricostruire la Firenze demolita, 1945 il Ponte 2, pp. 114-118).
Tra questi “estremi” prende spazio anche il “rigore” per la fruizione, la conservazione e il restauro dell’Arte Digitale, un rigore dai profili scientifici che, necessariamente, va ricondotto, come già per il restauro delle altre opere d’arte, ad un profilo di attualizzazione e concreta operatività.
CONSERVAZIONE E FRUIZIONE DELL’ARTE DIGITALE
Tuttavia, andando con ordine è pur vero che un pezzo di Louis Armstrong può, anzi deve, mantenere un profilo di “suono vinilico”, così come un’opera di antesignana Arte Digitale realizzata da Nam June Paik, negli anni Sessanta, avrà ragione di essere visualizzata esclusivamente su televisori bianco e nero, a tubo catodico e tecnologia valvolare datati anni ‘50-‘60.
Per ogni epoca ed artista esiste una propria tecnologia, un metodo, una tecnica, che dovremo imparare a distinguere con professionalità e disciplina, così come in passato abbiamo imparato a distinguere una tela di lino tessuta a mano da una industriale, un’imprimitura da un’altra, un chiodo battuto a mano da una sellerina o un chiodino in acciaio inox.
Oggi, gli “strumenti del comunicare” (McLuhan) sono in costante evoluzione tecnologica e per questo iniziare a “distinguere” come ad “ordinare” e “teorizzare” diventa indispensabile, perché in una esposizione, il fascino di una “primordiale” opera digitale avrà ragione di tecnologie del suo tempo, così come una Digital Art in formato 4K, 3D – 4D oppure olografica, potrà esclusivamente esprimersi solo su uno schermo plasma oppure con il recentissimo OLED.
Sono i nuovi temi dell’autentica dell’arte, della museologia e della curatela digitale.
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